Sono passati tre giorni dal mio arrivo da Biella. La stanchezza lentamente si dissolve e si fanno strada i pensieri su ciò che ho vissuto alla Tourblancrando.
Sono pensieri confusi, persi tra immagini e sensazioni che devono ancora essere elaborate.
Ma oggi è bello raccontare a se stessi ciò che si è vissuto e provato. Parlare a se stessi perchè una randonnè, e la rando del Monte Bianco ancor di più, è un esperienza individuale, intima, frutto della scelta di sfidare se stessi e la fatica, immergendosi in un ambiente complesso che può essere ostile o accogliente, mai banale, spesso sorprendente.
Nella mia memoria i giorni prima della partenza sono i momenti dell'entusiasmo, del timore.
Il venerdì sera è dedicato alla preparazione degli ultimi dettagli: tutto il materiale, indispensabile al confort durante le ore in bici, sistemato nei borselli.
Il sabato notte il riposo sereno che conduce alla sveglia delle quattro che non disturba, pur così lontana dalle mie abitudini.
La partenza è il momento più bello: la freschezza del fisico accompagna i primi chilometri. L'entusiasmo e la strada in pianura fanno accelerare la bicicletta che scivola veloce sull'asfalto conducendoci al primo controllo.
Qui si scambiano battute, scherzi, parole ed esperienze diverse. Non c'è fatica, non c'è ansia ma solo la voglia di arrivare veolocemente alla prima salita, il Moncenisio. Trentotto chilometri con pendenze molto variabili; la mia gamba vola; mi sento bene e affronto le rampe che conducono in Francia con passo svelto e ad ottima cadenza. E presto e devo gestire l'euforia ma alzarmi sui pedali e rilanciare la velocità mi viene spontaneo, non avverto lo sforzo. Arrivato alla vetta mi fermo ad aspettare il gruppo di amici con cui affronterò i due giorni in bici, Ivan di Bormio prima di tutti. Un amico dal passo svelto e potente col quale ci aiuteremo molto. Con lui Paolo, uno splendido ciclista toscano dalla simpatia contagiosa.
Dal Moncenisio scendiamo verso valle, direzione Iseran. Alcuni saliscendi, l'orario che inizia ad essere quello del pranzo. Con Ivan decidiamo di fermarci a mangiare. Un simpatico pub ai piedi dell'Iseran ci da prosciutto e formaggio. Mangiamo con calma, non c'è fretta; dieci minuti di riposo in più e saremo più freschi in salita. Arrivano altri randonneur, ci si saluta. Un ragazzo greco, sorprendente presenza di un paese privo di tradizione ciclistica, ci saluta. Sono gli incroci che è bello fare in queste occasioni nelle quali la fretta è cattiva consigliera. Anche questa è una lezione che si impara pedalando nelle randonnè.
L'Iseran è lungo. Gli ultimi tre chilometri sono per me difficili; avverto i primi sintomi di stanchezza, dovuti anche alla eccezionale altura. Siamo sopra i 2500 mt, e arrivo staccato di un minuto dal mio amico Ivan. Son già le cinque, abbiamo percorso 200 km circa. Abbiamo ancora due salite prima di arrivare al rifugio di Saint Gervais. Il tempo in una rando perde la sua dimensione normale ed assume una forma speciale, lenta e invisibile, eppur presente.
Dobbiamo nutrirci prima di ripartire. Siamo in tanti al rifugio a mangiare crostate e bere the caldo. La cosa splendida di questa avventura è che il gruppo appare compatto, tutti più o meno hanno lo stesso passo e le differenze minime fanno si che ci si ritrovi in continuazione. Qui reincontro Mattia: altro amico conosciuto alla partenza, lecchese, pieno di brio e simpatia: radio24 il suo soprannome. Lui è qui per preparare la Londra – Istanbul e la cosa mi sorprende. Un giro simile affrontato come un allenamento. Cose incredibili che non credevo potessero esistere.
Dopo l'Iseran la strada scende e risale e riscende e risale. Col de la Roseland e col des Saisies. Colli che non conoscevo ma che impegnano le nostre gambe. Le mie le sento veloci e scattanti e col buio, nei chilometri di falsopiano che conducono al ristoro di Saint Gervais conduco il gruppetto di una decina di ciclisti che si è formato dopo Megeve. La strada di notte affascina o terrorizza. Io la amo, a quell'ora le mie forze esplodono al massimo e imparo che nelle randonnè difficilmente soffrirò la notte.
Al rifugio di Saint Gervais trovo la mia borsa, e i vestiti di ricambio. Mi faccio la doccia, e indosso pantaloni e maglia pulita. Mangio, pasta, due piatti e poi i wafer, la crostata. Mangiare bene è fondamentale in queste corse. Scambio pareri con Enrico l'organizzatore che assistito dagli amici della Vallelvobike ci assistono e aiutano. Due ore di riposo, pur senza dormire, sono fondamentali. Alle tre io e Ivan ci aggreghiamo a un gruppo che sta partendo. Ce li indica Enrico. Andate con loro sono un ottimo gruppo. E' proprio così; con loro si va ma senza ansia. Si pedala svelti ma senza foga. Ci si ferma a mangiare senza perdere tempo inutile, mantenendo un'andatura costante, la più efficace in percorsi così lunghi.
Il col de Montets e la Forclaz in Svizzera son due passaggi impegnativi ma che superiamo brillantemente.
La discesa verso Martigny una picchiata veloce favorita dal clima ancora asciutto. L'inizio della salita verso il Gran San Bernardo vede il gruppo dividersi, chi per i mille e noi che continuiamo per i seicento.
L'inizio della salita verso il Gran San Bernardo è facile. Un lungo falsopiano di 15 km circa senza difficolta reali. Li affronto velocemente e mi lascio indietro il gruppetto. Ma sbaglio i calcoli sulla distanza. Nei giorni precedenti mi ero informato ma la memoria mi inganna. Un gigante buono era lo slogan che avevo trovato in un libro sulle salite cicliste europee. Parole, a mio parere, errate. Quando trovo l'indicazione dei 25 km alla vetta vengo preso da un momento di sconforto. Pensavo di essere a metà strada.
La lunghezza per la prima volta mi opprime. Ma continuo senza fermarmi. La sola convinzione è che devo procedere: con calma, ma senza fermarmi. Dopo dieci km invece mi fermo; devo mangiare. Mi rifocillo e riparto. La pioggia inizia a battere la strada. Mi supera il mio amico Ivan. Gli chiedo di andare, di lasciarmi solo perchè così avrei fatto il mio passo senza badare a nulla se non al mio corpo.
Continuo a scalare metri insignificanti dal punto di vista paesaggistico, complice anche il clima, ma faticosi per i muscoli. Ma non mi fermo. Con calma arrivo alla galleria. Ora mancano solo sette km. Faccio un calcolo veloce. Per mezzogiorno e mezza sarò in cima e questo mi permetterà di affrontare la discesa verso Aosta con un buon margine per l'arrivo a Biella.
Ma qua le cose si complicano. Le pendenze diventano più aspre e il vento e la pioggia rendono tutto ancor più pesante. Mi devo fermare, percorro duecento metri a piedi perchè il vento e le forze giocano una battaglia impari.
Risalgo in bici, mica mollo adesso. Vedo il cartello dei quattro km che diventano due e il furgone dell'organizzazione che mi supera e mi incita.Mi porgono una bottiglia d'acqua. Ora è fatta davvero. Dodici e venti: sono in cima. Il vento occulta la vista della vetta e non so giudicarne il fascino. Anche la stanchezza mi consiglia di utilizzare la discesa per riprendere le forze senza badare a ciò che mi circonda.
Pioggia vento e freddo accompagnano la lunga strada verso l'Italia. La velocità non può essere quella che vorrei ma arrivo ad Aosta. Qua incrocio un gruppo di simpaticissimi ragazzi vicentini con i quali percorrerò parecchia strada
Le forze tornano alla grande. Sui saliscendi della Val D'Aosta sento le gambe che girano con forza e mi permettono un andatura svelta che nel giro di due ore e mezza ci porta a Ivrea. Con le pause, e alcune piccole incertezze per il percorso, superiamo la città e affrontiamo l'ultima salita. La Broglina divide Ivrea da Biella, è una salita semplice, 6,5 km al 5% di media. Ma affrontata dopo 550 km può essere terribile. Anche qua, in modo inaspettato, le gambe rispondono bene e guido il gurppettimo di noi sei quasi fino in cima. Qui è posizionato l'ultimo controllo. La discesa è veloce e ci conduce alle porte di Biella. Io però mi perdo e percorro dieci km in più.
Ecco la città, l'arrivo. La strada è finita. In quel momento non avverto emozione La stanchezza prende il sopravvento e l'unico desiderio è farmi la doccia, preparare la macchina e arrivare a casa. Questo però non mi impedisce di salutare gli amici con i quali ho percorso questi fantastici 600 km. La mia prima 600; il giusto coronamento di un percorso di preparazione che mi ha permesso di affrontarla con l'esperienza indispensabile per gestire le fatiche di questa corsa, estrema e affascinante nella sua durezza.
Federico Antonelli