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Racconti

mercoledì 09 gennaio, 2013

La mia 1001 Miglia. Racconto Randagio

Per molti ciclisti tuttora poco conosciute, le randonnè sono a mio parere la forma più evidente della libertà che il ciclismo in sé rappresenta : “la randonnè è come ciascuno la interpreta”, ho sentito dire una volta a un randonneur. Ed è proprio così perché ognuno decide autonomamente come affrontarla; c'è chi ha la fortuna di essere molto allenato fisicamente e mentalmente e la prende come una gara o comunque una corsa contro il tempo, c'è chi invece la considera un viaggio vero e proprio e non guarda mai l'orologio ma solo il paesaggio che lo circonda con le sue meraviglie. Quest'ultimo è il vero spirito Rando, tuttavia devo ammettere che io le ho sempre viste come una sfida con se stessi ( ma non contro se stessi ) e perciò ho dato sempre il massimo per arrivare prima ma non facendomi mai mancare momenti in cui ammirare con lo stupore di una bambina le bellezze che la natura offre. Una volta mi sono commossa davanti ai giochi di luce che un'alba sull'Appennino mostrava e non mi vergogno a dirlo. Oppure sentire l'odore acre che i girasoli delle campagne toscane emanano durante una notte estiva, è un qualcosa che mi pare ancora di potere sentire nelle narici se lo ricordo, sebbene noi umani non abbiamo una memoria per gli odori capace di richiamarli come facciamo con le immagini. Insomma ci sono tanti altri esempi da fare, ma che non esauriranno mai il repertorio di emozioni che una persona può provare pedalando lungo le strade randagie.


Ora vorrei parlare di un'esperienza che mi rimarrà per tutta la vita impressa, con le sue gioie ma anche coi suoi dolori. La mia 1001 Miglia. Il progetto è nato l'anno scorso, quando dispiaciutami di non poter essere andata alla famosa Parigi-Brest-Parigi ho cercato un evento della portata simile in programma per il 2012. Così sono venuta a conoscenza della 1001 Miglia Italia e l'ho eletta obbiettivo dell'anno; inizialmente amici ciclisti e non mi hanno dato della “matta”, pochi la ritenevano un obbiettivo raggiungibile. Significava pedalare tra i 4 e i 5 giorni con una media di circa 400 km al giorno e quasi 17.000 metri di dislivello in salita! Per non parlare del sonno, che poteva ammontare a qualche ora per notte. Ma poi mi vedevano così convinta che si sono convinti anche loro, mio padre in primis, disposto ad accompagnarmi come scorta tecnica in furgone per tutti i 1.600 km. Cavolo che coraggio.
Dunque giungiamo al 16 agosto, con in mano tutte le qualifiche e anche un bollettino meteo che prevede caldo infernale senza tregua. Siamo alla partenza dopo i controlli preliminari e l'ultima telefonata al fidanzato, importantissimo appoggio psicologico da casa; il sole è già calato ma la temperatura si mantiene intorno ai 30 gradi. Al via, sono nel primo gruppo e la media è elevata, si pesta sui pedali sempre sopra i 30-35 km/h per affrontare il “piattone” della pianura padana fino a Faenza, a cui si arriva a metà mattinata dopo una nottata anche troppo veloce. Già 500 km fatti e sembriamo tutti belli freschi. Come no, adesso con le salite dell'Appennino vedremo come cambia la musica! Infatti raggiungere l'eremo di Chiusi della Verna è una bella sfacchinata e si arriva in serata verso le otto. A questo punto sono la settima assoluta e prima donna, ma la strada ancora da fare è davvero tanta. Alcuni compagni di viaggio decidono di proseguire fino al punto di controllo successivo perché là troveranno il cambio del vestiario, ma io ho assolutamente bisogno di dormire, è dalla partenza che non mi sono mai riposata e ho percorso 570 km circa. Così mi distendo in furgone e Morfeo mi assale in pochi attimi.


Sono le 3 del sabato, fuori c'è un cielo incredibilmente terso e ricco di stelle e fa anche freddino, ma è ora di rimettersi in strada dopo una rapida “colazione”. Oggi si arriva al lago di Bolsena, giro di boa che segna la metà del percorso ( 800 Km ). Metà del percorso ma non metà del dislivello. Anzi, il meglio deve ancor venire! Ci aspettano tutta la Toscana e poi la Liguria. In ogni caso, vedere il bicchiere mezzo pieno è d'obbligo e tira su il morale, dà la forza di andare avanti a gambe che iniziano ad essere stanche.
Il lago è una stazione balneare quando arriviamo, è l'ora di pranzo del week end a cavallo di un bollente ferragosto e non potrebbe essere altrimenti.
Dopo un pasto rinfrescante, decido di concedermi una doccia e un riposino per non pedalare sotto il sol leone delle ore più calde della giornata; ma il caldo è troppo e il furgone diventa un forno, non chiudo occhio.
Si torna in sella alle 16 circa, ma in quel momento faccio un errore madornale, che mi costerà parecchio e del quale porto tuttora i segni sulla pelle: decido di restare in canottiera, esponendo al sole le spalle bianche finora mai abbronzate. Quel pomeriggio infatti sento che la pelle sta soffrendo, ma penso “tanto mi arrosso e basta, domani sono a posto”. Col cavolo. La tappa è estremamente impegnativa dal punto di vista altimetrico e la sera arrivo a Montalcino con a mala pena 150 km percorsi da Bolsena ( ne mancano 600 circa al termine! ). Ma è il mio corpo che sceglie di fermarsi, me lo impone. Comincio a sentire nausea, brividi e mal di ossa oltre alla pelle che brucia da morire e al fondoschiena dolente per le tante ore in sella. Bene o male riesco a dormire per 4 ore, e sono già le 7 di mattina, mi devo alzare. Avete presente quella sensazione di quando avete la febbre alta che sembra vi sia passato sopra un camion carico? Ecco stavo esattamente così. Sicuramente avevo la febbre anche se non l'ho misurata col termometro, mio padre mi sente il polso e mi dice che ho il cuore a mille, gli occhi rossi, anche solo cambiarsi i vestiti diventa una fatica enorme, figuriamoci mettersi di nuovo in sella. Mi scendono alcune lacrime sul viso, bruciano anche quelle. “ Sei sicura di proseguire il cammino?”, chiede papà. Dopo un attimo di esitazione, rispondo. Certo che continuo, ho una tesi di Laurea da fare e una sfida che aspetto da un anno, porca miseria se continuo, dovessi pedalare con i denti! Se ci si dà un obbiettivo, bisogna avere anche il coraggio di raggiungerlo, perché se è vero che nessuno può fare tutto, tutti possono fare qualcosa. E quest'avventura è questo qualcosa adesso. Vedo emozione, orgoglio, fierezza negli occhi di mio padre, e questo è il suo consenso alla mia decisione nonostante il mio fisico si ribelli. Poi mentre esco dal furgone per inforcare la mia bici, che sembra un cavallo che aspetta il suo cavaliere, incontro Fulvio Gambaro, mio inseparabile compagno di tante randonnè. Lui era appena arrivato perciò non riparte subito con me, ma sono certa ci incontreremo di nuovo più avanti.
Prendo una tachipirina e mi metto in strada. Fortunatamente fino al ristoro successivo il percorso è abbastanza semplice e dunque la ripresa appare meno faticosa.
Si raggiunge Siena nell'ora della canicola e dobbiamo attraversare il centro storico. A Montaione è ancora pomeriggio, ma dopo aver pedalato con 44 gradi e la pelle ustionata sento la necessità di fermarmi un po'. Non chiudo occhio comunque, pur stando ferma 4 ore e sapendo di dover affrontare una notte in sella, i dolori alla pelle e alle ginocchia sono troppo forti. Scoppio in un lungo pianto liberatorio, cerco conforto con una chiamata al fidanzato che cerca di tranquillizzarmi ma so che sta soffrendo come un cane pure lui a sentirmi così. Per ora non cerco mio padre, che si concede una meritata pennichella. Sulla pelle delle spalle si sono formate delle notevoli vesciche piene di liquido giallastro, segno della mia disattenzione sotto un sole tanto aggressivo. Devo bucarle e lasciare che la pelle si stacchi, non c'è altra soluzione purtroppo. Persino fare la doccia diventa una sofferenza anziché un sollievo. Mannaggia se brucia la carne viva a contatto con la maglietta! La copro con una garza, che non toglierò fino all'arrivo. Mancano 300 km con tutta la Liguria da superare. A questo punto del viaggio si forma un gruppetto di amici che resterà tale fino all'arrivo: il buon Fulvio che si aggrega e mi conforta, con lui mi sento protetta, al sicuro, Loredano l'emiliano con cui pedalo assieme dalla partenza (ha 62 anni! ), Gianluca l'insegnante di matematica anche lui con la parlata piacevolmente romagnola e quel mezzo cadavere che sono io ora.
Prendiamo il via che ormai è quasi buio, la prossima sosta sarà a Castelnuovo Garfagnana dove troveremo docce e dormitorio. Pensiamo di arrivarci tra mezzanotte e l'una.
Ecco si vedono le luci del paese da lontano! Dopo un tortuoso ultimo km per raggiungere la pizzeria dove timbrare il foglio di viaggio, gli altri mangiano una bella pizza ma io non ho fame purtroppo. Dico purtroppo perché a Chiusi della Verna ho incontrato un randonneur vissuto, che ha concluso anche la RAAM e tre o quattro 1001 Miglia, Enrico De Angeli, il quale mi disse “finché senti la fame vuol dire che hai benzina, che stai bene. Se non mangi più è segno che il tuo corpo sta cedendo”. Infatti spero la mattina seguente di svegliarmi con tanta fame.


Lunedì 20 agosto: ci aspettano le impervie salite della Liguria, ma tra poco più di 200 km siamo a casa a Nerviano. Così si parte con un altro spirito, con la voglia di arrivare. La donna che finora era seconda mi ha superato mentre dormivo, non ci spero più di tagliare il traguardo per prima ora come ora. La bellezza dei paesaggi delle Cinque Terre e la vista del mare ci ripagano della fatica fino all'arrivo a Deiva Marina, dove pranziamo e facciamo una breve sosta. Qui incontro di nuovo Angela. Il suo gregario deve sentirsi poco bene e decidono di fermarsi più di noi, una nuova speranza di poter tagliare il tricolore come Wonder Woman affiora in me. Da adesso in poi trovo una nuova forza, non so da dove provenga, ma la sera stessa non vorrei nemmeno fermarmi a dormire a Casella Ligure. Mi fa male ogni singola fibra muscolare . Però i miei gregari non sono d'accordo, hanno bisogno di stendere le stanche membra, perciò ci accordiamo per riposare solo un paio d'ore e alle 3 di notte di nuovo al via. Ci tengono anche loro ad accompagnarmi al traguardo come prima donna, che onore.


Sento il profumo di Nerviano. Dopo una veloce semi tappa fino a Castellania, paese di Coppi per l'ultimo controllo, un signore dello staff chiama Fermo Rigamonti per comunicargli il passaggio della prima donna in modo che si preparino i festeggiamenti. Che emozione! Mi sento le farfalle nello stomaco e nelle gambe, mancano poco più di 100 km e fremo per ripartire. Mi fa male persino la pelle delle gambe se la tocco, il ginocchio destro pizzica da morire, i muscoli sono ormai allo stremo ma la mia testa c'è ancora, è forte, determinata.
Tutta la pianura lombarda piena di risaie e umidità ci accompagna nella mattina del martedì, sono sempre in testa a fare l'andatura perché non vedo veramente l'ora di arrivare e ho paura di avere la bionda alle calcagna. Non ho nessuna intenzione di farmi superare agli ultimi 50 km, sarebbe umiliante, e nonostante le proteste di Loredano che non ce la fa più a stare a ruota a 28 km/h, ho addosso tanta ansia. Voglio farcela a vincere questa gara. All'ultimo bar dove Fulvio decide di fare una pausa caffè, neanche scendo dalla bici e pianto il broncio. Intanto mio padre è dietro che sorveglia la situazione, in modo da avvisarmi se vede ciclisti in avvicinamento; ebbene sì quando l'agonismo prende il sopravvento, hai paura di tutto e arrivi anche a mandare “sentinelle” in esplorazione preventiva.
Le ultime pedalate prima dell'arrivo, insieme a Fermo Rigamonti e ai fotografi che ci seguono in auto, sono irrorate da tante sensazioni strane. La stanchezza infinita mista a una felicità incredibile, la consapevolezza di aver raschiato il fondo del barile, l'aver chiesto forse troppo al mio fisico è stato però ripagato dal trionfo in una sfida che per tanti è stata una sconfitta o una meta irraggiungibile. Sono felice, sorrido. Dentro mi viene da piangere, da urlare, da gridare a me stessa brava che non hai mollato, la tensione cede e vorrei buttare fuori un carico immenso di emozioni. In parte persino mi dispiace percorrere l'ultimo kilometro, terminare questa esperienza coi miei amici che mi è parsa durare una vita intera. Penso alle ferie in Sicilia che mi aspetteranno la settimana successiva, al relax in riva al mare addolcito dal mio uomo che non vedo l'ora di abbracciare per dirgli che lo amo. Penso alle feste della mamma, di tutti gli amici e i parenti che da casa mi hanno seguito con dedizione e ansia passo passo. Mi arrivano via SMS i complimenti di tanti, davvero tanti. Grazie a tutti per aver creduto in me e avermi dato la forza di andare avanti fino in fondo.


Mentre faccio le foto col sindaco e con altra gente davanti al nastro tricolore con scritto 1001 Miglia Italia, mio papà scoppia in lacrime, mi mostra un cartellone con scritto “ti voglio 1001 volte bene”, anche per lui è stato un impegno non da poco e l'adrenalina l'aveva tenuto sveglio per 4 giorni o circa. Adesso è un pianto liberatorio, di felicità, è fiero di me per quello che ho fatto e io fiera di lui per la dedizione con cui mi ha sostenuto, con cui a creduto in me fin da quando sono nata e gli ho sorriso per la prima volta. Io non riesco a piangere, ho finito le forze anche per questo, ma dentro di me piango piango piango e grido di felicità. Ringrazio i miei gregari e pranziamo assieme prima di salutarci e tornare a casa per un meritato e lungo riposo. Davanti a me solo 37 uomini, e dopo circa 4 ore arriva la seconda donna. Le faccio i complimenti, ma non sembrano interessarle ed è piuttosto infastidita.
Gli ultimi saluti e si riparte, questa volta in macchina, verso Udine. Il viaggio senza aria condizionata è torrido, tra la pelle ustionata e l'immensa voglia di fare una bella dormita nel mio letto, la sopportazione è al limite e non vedo l'ora di arrivare a casa. Io come anche mio padre d'altronde.
Ascolto della musica, ripercorrendo con la mente questa magica avventura per cercare cosa ho sbagliato e dove invece sono stata più forte di una roccia, e per fortuna il tempo passa abbastanza veloce. Nel tardo pomeriggio entriamo a casa, al fresco finalmente! Sistemiamo i bagagli ed è ora dei saluti con papà. Ci stringiamo forte, in un abbraccio eloquente, ricco di emozione e storie vissute assieme, un abbraccio che raccoglie più di mille braccia. Ci scappano anche un po' di lacrime, quelle che ci restano. Ti voglio bene per ciò che mi hai sempre dimostrato di essere, un papà in gambissima.
La sera stessa mi viene a trovare il fidanzato, spero non si sia spaventato alla vista delle mie spalle, sembravo un pollo arrosto. Ci abbracciamo forte anche con lui, ritrovo nei suoi occhi tanta forza e serenità, lo desideravo e so che mi ha pensata tanto in questi 4 giorni, a volte eterni a volte troppo veloci. Che gioia rivederlo.
Questa avventura è giunta al termine, ma mi ha segnato per sempre, nel vero senso della parola visto che le ho dedicato anche un tatuaggio e le bruciature hanno lasciato le loro cicatrici. Ma la cicatrice di cui vado più fiera è quella che mi ha lasciato nell'anima; mi ha fatto crescere, soffrire, gioire, sudare, divertire, ridere, capire che con l'impegno si raggiungono gli obbiettivi, mi ha dato una piccola lezione di vita e di lealtà.
Spero di aver trasmesso in poche pagine la passione per questo tipo di sport, ma soprattutto di avervi fatto emozionare, perché sono soltanto i sentimenti a spingere le persone oltre i loro limiti, qualsiasi essi siano. Se mi chiedete perché l'ho fatto e perché lo continuo a fare, vi rispondo “perché mi emoziona”. Punto. Mentre buttavo giù questo riassunto, rivivevo tutta la gara come fosse stata ieri; mi pareva persino di risentire gli stessi profumi, di rivedere gli stessi paesaggi, di riascoltare gli stessi suoni, di riprovare le stesse fatiche. È ancora molto vivida in me la 1001 Miglia e spero che lo rimanga. Con una preparazione adeguata, un valido appoggio e un'immensa forza di volontà, la consiglio a tutti.

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Laura Messina

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